Raid degli americani contro obiettivi iraniani in Iraq e Siria

Raid degli americani contro obiettivi iraniani in Iraq e Siria

Colpiti 85 obiettivi, almeno 18 combattenti uccisi

Roma, 3 feb. (askanews) – Gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi contro forze d’elite iraniane e gruppi filo-iraniani in Iraq e Siria, come rappresaglia per l’attacco con un drone in Giordania che domenica ha ucciso tre militari americani.

La Casa Bianca ha dichiarato che gli aerei da guerra statunitensi hanno colpito un totale di 85 obiettivi in sette diverse località – tre in Iraq e quattro in Siria – e che l’operazione ha avuto “successo”. Le forze armate americane hanno preso di mira il Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica, l’esercito ideologico del regime di Teheran, la sua Forza Quds e gruppi armati filo-iraniani.

Il Centcom (il comando militare statunitense per il Medio Oriente) ha dichiarato che gli 85 siti comprendevano centri di comando e di intelligence, oltre a strutture di stoccaggio di droni e missili appartenenti a milizie e forze iraniane “che hanno permesso gli attacchi contro le forze statunitensi e della coalizione”.

Almeno 18 combattenti filo-iraniani sono stati uccisi in questi attacchi nella Siria orientale, secondo l’Osdh (Osservatorio siriano per i diritti umani). Baghdad ha condannato gli attacchi come una “violazione della sovranità irachena”, mentre gli Stati Uniti hanno spiegato di aver “avvertito il governo iracheno prima degli attacchi”. Joe Biden non ha ordinato di colpire l’Iran, come chiedevano invece alcuni oppositori repubblicani. Né il leader democratico ha apparentemente preso di mira funzionari iraniani, come aveva fatto il suo predecessore Donald Trump nel gennaio 2020, quando aveva commissionato l’omicidio di Qassem Soleimani, l’ex “architetto” delle operazioni militari iraniane in Medio Oriente, in un attacco mirato a Baghdad.

Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato ieri che “gli Stati Uniti non vogliono un conflitto in Medio Oriente o in qualsiasi altra parte del mondo”, e la Casa Bianca ha ripetuto dopo gli attacchi di non volere una “guerra” con l’Iran, con cui non intrattiene più relazioni diplomatiche dal 1980.

Biden, in campagna elettorale per un secondo mandato, si era impegnato a rispondere alla morte, avvenuta domenica, di tre militari statunitensi uccisi da un drone in Giordania, vicino al confine siriano, dove 350 soldati sono di stanza nell’ambito della lotta contro l’organizzazione dello Stato Islamico. I loro corpi sono stati rimpatriati proprio ieri.

Gli Stati Uniti hanno puntato il dito contro i gruppi armati iracheni sostenuti dall’Iran. Secondo un funzionario, le forze statunitensi in Iraq e Siria hanno subito almeno 165 attacchi con droni o razzi da metà ottobre, ma domenica è stata la prima volta in cui dei soldati americani hanno perso la vita. Le tensioni regionali sono alle stelle dopo il sanguinoso attacco a Israele da parte di Hamas, organizzazione sostenuta dall’Iran, seguito dall’incessante bombardamento dello stato ebraico della Striscia di Gaza.

Attraverso la diplomazia e la presenza militare nella regione, gli Stati Uniti hanno cercato per quasi quattro mesi di evitare che il conflitto tra Israele e il movimento integralista islamico palestinese si estendesse al Libano e a un conflitto tra Israele e gli Hezbollah sostenuti dall’Iran.

Dal 7 ottobre, tuttavia, Washington, con il sostegno di Londra, ha fatto ricorso ad azioni militari contro i ribelli Houthi filo-iraniani in Yemen, che hanno lanciato attacchi contro navi mercantili e militari nel Mar Rosso.

Biden ha avvertito che la “risposta” degli Stati Uniti è “iniziata oggi” e che “continuerà nei tempi e nei luoghi” che Washington “stabilirà”. “Non vogliamo vedere un altro attacco alle posizioni americane o al personale militare nella regione”, ha avvertito il Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca.

Molti esperti a Washington ritengono che l’Iran non rischierà un conflitto diretto con la prima potenza mondiale, ma che si sia rafforzato dopo la guerra a Gaza e il suo sostegno ad Hamas, raccogliendo più consensi nel mondo arabo.

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